Dedichiamo questo articolo agli stadi di calcio che non ci sono più. Quegli stadi che in un secolo, un secolo e mezzo di storia del calcio, sono stati edificati, hanno vissuto le loro giornate di gloria, e poi sono stati abbandonati. O distrutti. O ancora, il più delle volte, ci hanno costruito sopra qualcos’altro. Vivono dunque solo più nella memoria.
È un racconto anche affascinante. Alcuni di questi luoghi sono ricordati e venerati quasi al pari dei giocatori che ne hanno calcato i prati. In quei pochi ettari generazioni di tifosi hanno trascorso una fetta non trascurabile della loro vita. O, almeno, parlarne è utile. Eviterete di cercarli una volta che vi trovate nella città. Sempre che qualcuno, come il sottoscritto, abbia l’insana passione di inoltrarsi in periferie assolate e desolate per visitare lo stadio di una città, passatempo che ormai ho abbandonato solo per la presenza di una famiglia.
Perdonate la divagazione, ma c’è ancora un motivo, che ora espongo in breve. Credo che l’archeologia del secolo appena passato, generalmente, non riguarderà templi o palazzi di potere (salvo Brasilia). Non spiegano granché del nostro tempo. L’archeologia del novecento sarà costituita da stazioni, da fabbriche, da ponti, da grattacieli. E da stadi. Più altro che non ho voglia di citare. Uno stadio demolito è Micene coperta dalla terra, in attesa di tornare a rivelarsi al mondo.
Dieci stadi demoliti e perduti, scelti deliberatamente fra i più famosi. Escludiamo dalla categoria quegli stadi che hanno rifatto completamente al posto del precedente, come il nuovo Maracanà o il nuovo Wembley. Escludiamo altresì stadi costruiti nelle immediate vicinanze del vecchio sito abbattuto. È il caso del Giants Stadium a New York, del San Mames a Bilbao, del Rasundastadium a Stoccolma, tanto per citarne alcuni. Questi al momento non ci interessano. Il contesto è radicalmente diverso, ma con uno sforzo di fantasia neppure troppo accentuato, il passato è lì a portata di mano. Altre tribune, altri parcheggi magari, ma la consapevolezza di avere sulla testa lo stesso cielo. L’invito è invece quello di scavare fra le macerie della storia calcistica. E iniziamo allora a scavare a casa nostra.
Velodromo Umberto I – Torino
Sotto gli attuali condomini, negozi e viali del quartiere Crocetta di Torino, circa un secolo fa sorgeva un impianto per le corse ciclistiche. Si poteva però adattare anche alle partite di calcio. Pertanto l’otto maggio 1898, di fronte a circa 150 spettatori ignari di assistere ad un pezzo di storia, lì si disputò il primo Campionato italiano di calcio. Tutto in un giorno: semifinale e finale, vinta dal Genoa.
Per qualche anno il Velodromo Umberto I fu usato da Juventus e Torino, prima che la città arrembante lo inghiottisse. Torino, una città stracolma di archeologia novecentesca, abbonda anche di stadi scomparsi: lo stadio di Corso Marsiglia, lo stadio di Corso Sebastopoli, e lo Stadium, primi del Novecento, all’epoca fra i più grandi al mondo. Poi, lo stadio perduto più famoso d’Italia: il Filadelfia.
Stadio Filadelfia – Torino
Brasilia, il capolavoro dell’architettura e dell’urbanistica contemporanee, fu edificata in 41 mesi. Di ricostruire il Filadelfia se ne parla da trent’anni, senza esito. Pare che nel 2015 inizieranno i lavori. Sarà forse la volta buona ed il mitico Filadelfia non sarà più uno stadio perduto.
Ma per ora lo è. La Mecca del tifo granata, nonchè un pezzo di storia del calcio nazionale, rimane un prato incolto circondato da monconi di tribuna, fra condomini e ferrovia, nella zona sud di Torino. Venne inaugurato nel 1926 e prese il nome dalla via adiacente. Tranne alcune interruzioni, fu lo stadio casalingo del Torino sino al 1963. Qui nacque e visse il mito del grande Torino, la squadra che dominò il calcio italiano negli anni quaranta prima della tragedia di Superga. L’urlo dalla folla, praticamente attaccata al campo da gioco, esaltava i giocatori. Il connubio era fantastico. Tra il ’43 ed il ’49 il Torino uscì sempre imbattuto dal Filadelfia, e quasi sempre vincitore. Lo stadio ospitò anche una storica partita della nazionale, contro l’Ungheria. Era il 1931 e l’incontro era valido per la Coppa Internazionale, una sorta di Campionato europeo di quegli anni, benché ristretto. Vinse l’Italia tre a due con gol all’ultimo minuto, di Cesarini. Ovvero, la zona Cesarini.
L’ultimo incontro di campionato si giocò il 19 maggio del ’63. Marcatore, un certo Enzo Bearzot. Il Torino utilizzò il Filadelfia per gli allenamenti sino al 1989. Poi, decadenza pura. In attesa forse di nuova vita.
Stadion De Meer – Amsterdam
Dagli anni trenta è stata la casa dell’Ajax, anche se ogni tanto, per gli incontri più importanti, lo tradiva con il più capiente Olympisch Stadion. Ma il calcio totale, il mito del grande Ajax e della grande Olanda anni settanta, Cruyff e compagni, sono tutti figli del De Meer. Nel 1996 i lancieri ne calpestarono il prato per l’ultima volta, vincendo il loro ventiseiesimo titolo nazionale. Poi è stato raso al suolo per fare spazio a residenze e ad un parco. I nomi delle vie circostanti sono stati dedicati a vecchie glorie della squadra ed a stadi che hanno visto successi dell’Ajax. Fra questi, anche un ex stadio di Torino, mezzo scomparso perché solo rimpiazzato. Si tratta dello Stadio delle Alpi e l’esistenza al mondo di una strada intitolata a quello stadio è uno di quegli episodi che rendono la vita parecchio divertente.
Settembre 1989, ritorno di Coppa Uefa tra Ajax ed Austria Vienna allo Stadion De Meer. L’uno a zero per l’Ajax conduce l’incontro ai supplementari. Dopo pochi minuti gli austriaci pareggiano ed ipotecano la qualificazione. La parte più agitata del tifo olandese non la prende bene e dalla vicine gradinate inizia a lanciare di tutto. Il portiere dell’Austria Vienna Wohlfhart è colpito da una sbarra di ferro e la partita ovviamente viene interrotta. Vittoria a tavolino per gli austriaci, ma soprattuo Ajax bandito dalle Coppe europee per due anni, ridotti poi a uno. Passerà alla storia come la partita della sbarra di ferro e fu l’inizio della fine del De Meer.
Estadio Pocitos – Montevideo
Il primo Campionato mondiale della storia, si sa, fu disputato in Uruguay nel 1930. Nella capitale Montevideo fu costruito un grande stadio da centomila posti, l’Estadio del Centenario. Lì venne giocata la finale e sempre lì si sarebbe dovuta disputare la prima partita del mondiale, o meglio una delle due partite che in contemporanea avrebbero aperto i mondiali. Ma il Centenario non era pronto e pertanto Francia – Messico fu dirottata in un altro stadio poco lontano. Erano le tre del pomeriggio di domenica 13 luglio 1930 quando un migliaio di spettatori sugli spalti dell’Estadio Pocitos, la dimora del Penarol, assistettero all’inizio della storia dei mondiali. E dopo diciannove minuti videro anche per la prima volta una rete di Coppa del Mondo gonfiata da un pallone.
Alla fine degli anni trenta il Pocitos fu abbatutto per lasciare spazio a nuove costruzioni di una zona della città molto appetibile dal punto di vista immobiliare. La ricostruzione dell’esatta posizione del campo e della porta in cui entrò il gol è una vicenda degna di un ritrovamento archeologico. Ricorrono foto aree, la sepoltura di un cane, le memorie di un dodicenne dell’epoca appassionato di calcio. Oggi un monumento che somiglia un po’ ad un paracarro ricorda cosa avvenne su quel suolo. Un altro, raffigurante l’incrocio tra palo e traversa, è posto all’incirca nella zona in cui il francese Laurent segnò il primo gol, cioè Coronel Alegre 1324, Montevideo, Uruguay.
Estadio Gasometro – Buenos Aires
Il Gasometro era uno stadio di Baires situato in una zona con molti gasometri, in un quartiere oggi chiamato Boedo. Venne inaugurato il 7 maggio 1916 e per oltre sessant’anni fu la casa del San Lorenzo. Lo stadio fu più volte ampliato e raggiunse una capienza di 75 mila posti. Ospitò il torneo Sudamericano (la Copa America) del 1929, in particolare l’ultima partita tra Argentina ed Uruguay, due a zero e titolo ai padroni di casa. Sempre al Gasometro l’Argentina si aggiudicò anche il Sudamericano del 1937 grazie alla vittoria sul Brasile nella partita di spareggio. L’ultimo incontro al Gasometro venne giocato il 2 dicembre 1979, San Lorenzo – Boca Juniors, zero a zero. Poi nel 1983 venne distrutto.
Cos’era successo? Era successo che tra il 1976 e il 1983 in Argentina ci fu una terribile dittatura militare. E durante una dittatura militare fare ottimi affari non è così difficile. Basta averne lo stomaco. Il brigadiere Osvaldo Cacciatore, posto a capo della città di Buenos Aires, decise l’esporpiazione dei terreni. La scusa era quella di costruire case popolari. La dirigenza del San Lorenzo accettò il fatto di buon grado, anche a causa di difficoltà finanziarie. La multinazionale della vendita al dettaglio Carrefour vi costruì sopra un centro commerciale. Addio Gasometro. Ma come per il Filadelfia, forse a breve i tifosi del San Lorenzo potranno rivedere in piedi la loro cattedrale.
Estadio Metroplitano – Madrid
Lo stadio storico dell’Atletico Madrid fu inaugurato nel 1923. Durante la guerra civile fu praticamente distrutto in quanto posto in prossimità della linea del fronte nel corso della battaglia di Madrid. Fu riedificato nel 1943 e fino al 1966 ospitò le partite dei colchoneros. Poi fu sostituito da abitazioni ed uffici, mentre l’Atletico proseguiva la sua storia al Vicente Calderon.
Due partite su tutte meritano una menzione. Il Metropolitano ospitò la prima sconfitta dell’Inghilterra contro una squadra non britannica. 10 maggio 1929, Spagna – Inghilterra quattro a tre. Ospitò anche il primo derby europeo di sempre, Atletico contro Real, semifinale di Coppa Campioni del 1959.
Estadio das Antas – Porto
Lo stadio di Antas, quartiere di Porto, sorgeva a poca distanza dall’impianto che l’ha rimpiazzato, il do Dragao. Quando il nuovo stadio costruito per gli Europei del 2004 venne inaugurato, il vecchio das Antas era ancora in piedi. Di lì a breve fu abbattuto. Era una costruzione ovale, quasi rotonda, sullo stile degli stadi costruiti nel dopoguerra come il vecchio da Luz di Lisbona, o anche l’Olimpico di Roma. A metà anni ottanta raggiungeva una capienza di 95 mila persone. Ha servito con onore la squdra del Porto per più di cinquant’anni. Molti dei suoi tifosi ricorderanno ancora la celebrazione al das Antas per la vittoria della prima Coppa dei Campioni. Era l’alba del 28 maggio 1987.
Ayresome Park – Middlesbrough
Gli inglesi sono stati i primi a giocare a calcio, sono stati i primi a costruire stadi per guardare il calcio e, necessariamente, sono stati i primi a distruggerli. Di stadi storici ormai scomparsi in Inghilterra ce ne sono pertanto diversi. Il Maine Road di Manchester, ad esempio, casa del City per ottant’anni. Il Roker Park di Sunderland. Il White City di Londra, stadio enorme che ospitò il Giochi Olimpici nel 1908. In questa raccolta ne segnalo però due in particolare. Uno è ovviamente Highbury, e si veda poco più avanti. L’altro si trova a Middlesbrough, città senza troppe pretese del nord dell’Inghilterra.
I tifosi del Boro ricordano giustamente con nostalgia e passione questo stadio in cui si è giocato a pallone all’incirca per tutto il novecento (dal 1903 al 1995). Gli hanno dedicato anche un bel sito web. Pure noi italiani continueremo a tenerlo in mente, anche se non proprio con nostalgia. Coppa del mondo del 1966: all’Ayresome Park di Middlesbrough si disputa il terzo turno della prima fase. In campo c’è l’Italia, cui basta un pareggio per passare il turno. Di fronte un gruppo di perfetti sconosciuti provenienti dalla Corea del Nord. Per chi non lo sapesse ancora, vinsero loro uno a zero.
Highbury (Arsenal Stadium) – London
Uno dei campi di calcio più famosi del mondo e di sicuro il più famoso in assoluto fra gli stadi scomparsi. Il teatro di Inghilterra – Italia tre a due, ovvero la battaglia di Highbury. La casa del mitico Arsenal di Chapman, l’inventore del sistema. Febbre a 90° di Nick Hornby. E tant’altro.
Il nome corretto, però, era Arsenal Stadium. Highbury, come tutti l’hanno sempre chiamato, è il nome del quartiere in cui sorgeva, nel distretto di Islington. Particolare pressochè unico per uno stadio era la presenza di elementi art decò sulla facciata. Era famoso anche per l’orologio sul lato sud del campo e per l’impeccabile manto erboso. L’Arsenal ci giocò dal 1913 sino al 7 maggio del 2006. Un pezzo dell’involucro esterno originale è stato mantenuto, ma per il resto il glorioso stadio ha fatto spazio ad edilizia residenziale. Il mercato immobiliare londinese non arretra neanche di un metro. A pensare che abbiano distrutto Highbury, un pezzo di storia inglese del ventesimo secolo, piange il cuore.
Estadi de Sarrià – Barcelona
Durante i Campionati mondiali di calcio del 1982, la seconda fase, sempre a gironi, venne disputata all’interno di quattro stadi. Due erano templi del calcio: il Santiago Bernabeu di Madrid ed il Nou Camp di Barcellona. Il terzo, il Vicente Calderon di Madrid, quasi. Il quarto era invece uno stadio poco noto, di poco più di quarantamila posti, situato nella zona nord di Barcellona. Cosa ci facesse in mezzo agli altri tre è un mistero. Piuttosto vecchiotto già all’epoca in quanto l’avevano costruito nel 1923, nel corso della stagione regolare vi giocava la squadra dell’Espanyol. Il nome stesso non rappresentava il massimo della fantasia. Si chiamava infatti come il quartiere in cui era ubicato: Sarria.
Ecco, prendete un borgo qualunque nell’odierna Repubblica Ceca. Ci passano sopra i secoli, placidi o meno, degli uomini e delle donne vi trascorrono tutta la loro vita e il mondo e la storia lo ignorano pressoché indifferenti. Il 2 dicembre 1805, proprio lì, nel borgo di cui il mondo si disinteressa, si combatte la battaglia dei tre imperatori. E di nuovo l’oblio. Ma da quel momento tutti avranno bene in testa il nome di Austerlitz. L’Estadi Sarrià è l’Austerlitz del calcio. Per anni non vi accade alcunché, e non me ne voglia chi tifa Espanyol, ma insomma è così. Poi, dal 29 giugno al 5 luglio 1982, la storia del calcio si concentra tutta intera dentro le sue mura. La battaglia calcistica dei tre imperatori: Argentina, Brasile e Italia. Dopo quei giorni l’Estadi Sarria può tranquillamente tornare a dormire, perché nessun appassionato di calcio potrà mai più scordarlo.
Ho avuto la fortuna, e scusate l’iperbole, di vedere il Sarrià nel 1994 durante una gita del liceo, poco prima che venisse abbattuto nel 1997 per donare l’area alla popolazione del quartiere. Scherzo, per farci un centro commerciale. A parte l’impressione che mi procura pensare come il 1994 fosse molto più vicino al 1982 che ad oggi, ricordo che ci passammo col pullman, sicuramente per caso. Ricordo la parte esterna dello stadio vista dai finestrini e la guida che ci disse “È un posto importante per voi italiani, lo stadio Sarrià” e aggiunse:
Guardatelo bene ragazzi, perchè questa è Micene poco prima che venga sepolta dal tempo e dagli uomini. E dorma per sempre.
Scherzo ancora.
complimenti andrea
Grazie!