I successi sportivi e mediatici di José Mourinho sembrano avere aperto la strada a una nouvelle vague di giovani allenatori portoghesi pronti a combattere ai vertici del calcio europeo. Il primo a emergere è stato Andrè Villas-Boas, e dopo di lui si sono messi in mostra, sotto lo sguardo disattento di pubblico e critica, Leonardo Jardim, Paulo Bento, Vitor Pereira, Paulo Fonseca, Marco Silva.
Si tratta di una moda destinata a sgonfiarsi presto o davvero il Portogallo si appresta a indicare la via verso la modernità del calcio?
Preferiamo lasciare la domanda inevasa, limitandoci a tastare il polso alle carriere dei candidati al ruolo di Next One.
Un predestinato incompiuto
A giudicare dal primo nominativo in lista, l’ipotesi della moda passeggera sembra prendere il sopravvento.
Arrivato in panchina per vie traverse, quella di Andrè Villas-Boas è sicuramente una delle biografie agonistiche più bizzarre in circolazione. Scardina la porta d’ingresso al grande calcio importunando il suo vicino di casa, tale sir Bobby Robson, all’epoca tecnico del Porto. Robson, leggenda del calcio inglese, apprezza del 17enne Villas-Boas la capacità di estrapolare e governare dati, statistiche e geometrie di gioco. Decide allora di includerlo tra i suoi collaboratori, tra i quali figura anche il giovane Josè Mourinho, e ne pronostica una radiosa carriera da allenatore
No man is a Caribbean Island
L’influenza e la fiducia di Robson, sono tali da garantire al giovane Villas-Boas il suo primo incarico di commissario tecnico di una nazionale a soli 21 anni. La panchina è quella delle Isole Vergini Britanniche ma è sempre meglio di uno stage non retribuito nel settore assicurativo-previdenziale.
Villas-Boas ci mette tutto il suo entusiasmo e tutta la scienza calcistica accumulata incamerando dati per conto del suo mentore, ma il compito sarebbe stato improbo anche per allenatori più scafati ed esperti di lui. Raccoglie un paio di vittorie contro formazioni di pari grado (Antigua e St. Martin), ma la prova della verità è il doppio confronto di qualificazione mondiale contro le Bermuda. Due brucianti sconfitte, per 5-1 in casa e 9-0 fuori casa, convincono AVB che forse il calcio caraibico non è il miglior trampolino per la sua carriera.
Di quegli anni resta l’inedito ritratto fatto dal capitano della squadra, Avondale Williams, che racconta un profilo in contrasto con l’immagine di elegante e freddo gentiluomo del nord (in fondo il nord del Portogallo è pur sempre il nord di qualcosa) che gli verrà cucita addosso in futuro:
Era una persona tranquilla ma qualche volta usciva con noi in città. Era un personaggio estroverso e a volte sapeva essere molto divertente. Aveva un grande senso dell’umorismo e non gli dispiaceva farsi una risata con la squadra.
Al termine di questa esperienza estemporanea ritorna al Porto, nel frattempo finito nella mani di José Mourinho, agli ordini del quale Villas-Boas vestirà i panni di assistente, osservatore, elaboratore statistico e redattore di maniacali report tattici sulle squadre avversarie.
La simbiosi Mourinho-AVB prosegue con profitto prima al Chelsea e poi all’Inter, ma proprio nel corso dell’esperienza milanese, Villas-Boas sente che l’ala protettiva del suo datore di lavoro sta diventando soffocante per le sue ambizioni di allenatore.
L’università del calcio
Stanco di ricoprire la posizione di uomo-ombra, alla fine del 2009 ottiene l’incarico di allenatore dell’Academica Coimbra. Raccoglie gli Estudantes al fondo della classifica e orchestra una salvezza tanto tranquilla quanto insperata, giocando un calcio sorprendentemente offensivo per una candidata alla retrocessione.
Nelle fauci del dragone
L’anno dopo il Porto lo strappa alla concorrenza dello Sporting e la sua unica stagione alla guida dei dragoni è francamente stratosferica: vince Coppa e Supercoppa di Portogallo, si aggiudica lo scudetto con 20 punti di distacco senza perdere nemmeno una partita e a fine stagione si concede anche la vittoria della coppa Uefa nel derby lusitano contro lo Sporting Braga.
In occasione della roboante vittoria per 5-1 in semifinale contro il Villareal, con poker dell’incontenibile Radamel Falcao, il presidente Pinto da Costa arriverà a dire:
Questo Porto è più forte di quello di Mourinho.
Out of the Blues
In effetti la consacrazione a erede dello Special One a questo punto è doverosa, almeno secondo Roman Abramovich, che a fine stagione paga i 15 milioni di euro necessari ad attivare la sua clausola di rescissione, assecondando un destino di gloria calcistica che ormai sembra inevitabile.
Invece alla prima grande prova della sua carriera Villas-Boas stecca, imboccando una precoce quanto rapida parabola di declino che per il momento non è ancora riuscito a invertire.
Il suo Chelsea non ingrana: al primo scontro diretto rimedia una sconfitta per 3-1 all’Old Trafford. Nel derby casalingo contro l’Arsenal andrà anche peggio: tripletta di Van Persie e un impietoso 5-3 finale. Seguono una serie di risultati altalenanti che preludono a un lento scivolamento verso il centro della classifica. Il suo celebre gioco offensivo non impressiona particolarmente le squadre avversarie e il risultato più evidente che produce è una certa fragilità difensiva.
La squadra è ancora in corsa per la Champions League e per la FA Cup, ma questo non basta a salvare AVB dal licenziamento. Esonero con beffa, perché all’inizio di marzo viene sostituito da Roberto Di Matteo che a fine stagione passa a raccogliere tutti e due i trofei: FA Cup in finale contro il Liverpool e Champions League ai rigori in finale contro il Bayern Monaco.
Spurs
I due mezzi trionfi raccolti nella stagione precedente convincono la dirigenza del Tottenham a farne il successore di Harry Redknapp e il portoghese li ripaga della fiducia. Trascinati da uno strepitoso Gareth Bale (21 gol in campionato), gli Spurs ottengono il loro record di punti in Premier League (72), raggiungendo il quinto posto in campionato e mancando la qualificazione in Champions per un solo punto.
All’inizio della stagione 2013-14, il suo Tottenham è atteso al varco: la cessione di Bale ha permesso di finanziare una campagna acquisti faraonica ma quasi nessuno dei nuovi innesti riesce a trovare una collocazione armonica nel complesso mosaico calcistico di Villas-Boas.
L’esonero arriva al mese di dicembre dopo una serie di prestazioni ingiustificabili e di sconfitte imbarazzanti: 6-0 contro il Manchester City, 3-0 in casa nel derby col West Ham, 5-0 in casa contro il Liverpool.
Ora a White Hart Lane qualcuno lo rimpiange, anche perché il suo successore Tim Sherwood non è riuscito a fare molto meglio di lui. Resta il fatto che, al di là dei tonfi eclatanti, il Tottenham di AVB, chiamato a misurarsi alla pari con le altre grandi del calcio inglese, non è mai stato un serio candidato alla vittoria di una delle Premier League più belle, aperte e imprevedibili degli ultimi anni.
A questo si aggiunga l’aggravante di avere più o meno attivamente contribuito a dilapidare il tesoro accumulato con la cessione di Bale (anche se il principale imputato in questo caso pare sia Franco Baldini), avvallando acquisti rivelatisi fallimentari come quello di Roberto Soldado (30 milioni di sterline, 2 soli gol su azione in campionato) o Erik Lamela (altri 30 milioni di euro, a fronte di 3 sole presenze da titolare).
Semestre sabbatico?
Sembrava il momento giusto per una pausa di riflessione, invece nel giro di tre mesi è arrivata la ricchissima offerta dello Zenit San Pietroburgo. Al momento dell’esonero di Luciano Spalletti, il club sembra ancora il candidato più autorevole per il titolo. L’unico sfidante in grado di strappargli la vetta della Premier russa è il Lokomotiv di Mosca, formazione decisamente meno ricca e ambiziosa. Alla ripresa dopo la lunga sosta invernale, il Lokomotiv fatica a ritrovare il ritmo che gli era valso un sorprendente primo posto, mentre lo Zenit di Villas-Boas infila sei vittorie consecutive, trascinato dai goal di Hulk e del neo-acquisto Salomon Rondon. Il terzo incomodo è il CSKA Mosca, che dopo un avvio di stagione disastroso si è prepotentemente riavvicinato al primo posto.
L’ultima parte del campionato è una corsa a tre, ma con il pareggio nello scontro diretto contro il Lokomotiv alla terzultima giornata, lo Zenit è a un passo il titolo. E il passo lo fa, ma in direzione del baratro. La successiva gara casalinga contro la Dinamo Mosca sembra una formalità: il portoghese Danny porta in vantaggio lo Zenit al sesto minuto, poi arrivano il tracollo, lo psicodramma e la clamorosa rimonta della Dinamo, che arriverà a portarsi addirittura sull’1-4 (ma non importa, perché tanto la partita finirà 3-0 per la Dinamo, a tavolino). La contemporanea vittoria casalinga del CSKA segna la fine delle speranze scudetto: i tifosi non la prendono bene, invadono il campo, il capitano della Dinamo Mosca Vladimir Granat si becca addirittura un pugno in faccia, partita sospesa, campionato perso.
Una stagione all’inferno
Per Andrè Villas-Boas è stata una stagione da dimenticare: a questo punto si trova nell’imbarazzante situazione di non avere più argomenti per giustificare la fama che l’ha portato a essere uno degli allenatori più ambiti e pagati del momento. Anzi, gli ultimi risultati sembrano confermare le tesi dei suoi detrattori, secondo i quali sarebbe uno dei top-manager più sopravvalutati dall’attuale panorama calcistico, uno che si è costruito una carriera incredibilmente remunerativa esibendo il passaporto giusto al momento giusto.
Insomma, emerso sulla scia di una somiglianza fisica e anagrafica con José Mourinho, rischia di venire ricordato come una grande allucinazione collettiva adesso che la scia inizia a diradarsi.
A San Pietroburgo si è presentato paragonandosi allo zar Pietro il Grande, ma anche nei suoi maldestri tentativi di culto della personalità non riesce ad affrancarsi dal ruolo di controfigura perdente del personaggio inimitabile a cui probabilmente verrà associato per tutta la carriera.
Forse chiamato troppo presto a rispondere a delle sfide troppo grandi, Villas-Boas avrebbe probabilmente bisogno di tornare a percorrere le tappe mancanti di una carriera decollata troppo in fretta o forse dovrebbe rivedere la sua concezione del calcio come scienza esatta. Quello che Mourinho sembra possedere in più di lui è la capacità di domare e cavalcare il versante imperscrutabile e non calcolabile del calcio, quello secondo il quale il risultato finale è effettivamente una somma di fattori che però non vanno addizionati con la matematica ma con una sapiente mistura di calcolo, psicologia e tecniche di seduzione del caso.